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al testo di Teresa Cassani
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LA NORMALITÀ DELLA LONTANANZA
Le persone in genere, per quel che ne so io, non dimostrano particolare propensione a contattare i cosiddetti amici. Rapporti che sembrano consolidati non ricevono conferme da improvvise scampanellate. La maggioranza si rintana nel proprio habitat naturale e dà l’impressione di non sentire il desiderio di cercare l’altro, oppure aspetta che sia l’altro a muovere i passi. Così, salvo eccezioni che ci sono sempre, non ci si cerca. In generale, se uno si fa sentire presso quelli che considera amici, ne riceve anche reazioni soddisfacenti, ma poi tutto finisce in due rimbalzi di palla e si ferma se non è ancora lo stesso a riattivare gli scambi. Certo, perché dovrebbe essere frequente chiedere un parere a qualcuno o farlo oggetto di alcune personali considerazioni? Tutti siamo immersi in una realtà frenetica, informe e magmatica che non aiuta a coltivare sentimenti, a stringere i rapporti. Si è presi da una sorta di orgogliosa indifferenza e si viene subito turbati da attese deluse oppure si formulano giudizi ingenerosi, basati su scetticismo, diffidenza o anche insofferenza. In definitiva, si è talmente abituati alla normalità della lontananza che ci si meraviglia se qualcuno sembra animare più attenzione e avvicinamento. È un mondo insidioso quello in cui ci troviamo a vivere che fa paura e crea disagio. E se uno, molto ingenuamente, notifica tutto ciò, pensa che si leveranno voci interiori del tipo: “E cosa ti aspetti? Non puoi pretendere che la gente sia a tua disposizione. Tutti hanno i loro impegni e problemi, nonché bisogno dei margini di libertà, oppure non provano particolare coinvolgimento nell’interpellare te che magari hai una visione non condivisibile delle cose e non sai andare oltre”. Domande e risposte si levano dal proprio deserto, sempre seguitando lungo un invalicabile muro. |
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